La città senza ritorno by Edwin C. Tubb
autore:Edwin C. Tubb [Tubb, Edwin C.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Urania 165
editore: emmebooks
pubblicato: 2016-12-17T16:00:00+00:00
VII
Quando si svegliarono, una fiamma furiosa frugava i loro cervelli penetrando in ogni cellula del corpo. Anche Halmar, pur essendo abituato agli effetti disidratanti della rarefatta atmosfera marziana, e a resistere lungo tempo senza bere, si sentiva malissimo. Gli altri dovevano soffrire le pene dell'inferno.
Accanto alla parete Smith barcollava come un ubriaco, e si passava la lingua arida sulle labbra screpolate. Quando parlò la sua voce aveva un suono rauco.
«Acqua! Ho bisogno di acqua...»
«Non ce n'è» disse secco Halmar. Gli sembrava di avere la gola rivestita di stoffa ruvida. Non riusciva a inghiottire.
Lorna gemette, afferrandosi al suo braccio.
«Halmar, quella stanza... Quella con tutte le luci!»
«Ebbene?»
«Io avevo sete prima di entrarci, ricordate? Poi non l'ho sentita pii. Forse se ci tornassimo...»
«Pensate che anche adesso vi passerebbe la sete?» Si accigliò ricordando il mistero delle loro ferite rimarginate. «Andiamo» decise. «Possiamo provare».
Dovette portare Smith quasi di peso fino alla caverna.
Il pannello si aprì al comando mentale, e si richiuse non appena i tre terrestri furono montati sull'elevatore. Halmar si concentrò pensando intensamente alla stanza dove voleva arrivare.
Quando la porta si riapri, Lorna si precipitò fuori.
«Halmar!» esclamò subito, delusa. «Non ha funzionato».
Si trovavano ancora nella familiare caverna dal pavimento polveroso e le pareti lucenti. La donna si voltò verso Halmar con il viso sconvolto dalla disperazione. Le parole uscivano confuse dalla bocca arida.
«Cosa è successo?»
«Come 'faccio a saperlo? Torniamo dentro e proviamo ancora».
Ma quando il pannello si riaprì, erano ancora nello stesso posto.
Riprovarono un'altra volta ed un'altra ancora, Niente. L'elevatore non si muoveva. Halmar capì dove stava l'errore, quando l'uomo che tutti chiamavano Smith gemette portandosi le mani alla gola.
«Smith» gridò quasi la guida. «Quando siamo saliti qui la prima volta, cosa avete pensato voi?»
«Cosa ho... Non capisco».
«Accidenti a voi! Ascoltatemi bene». Lo afferrò per le spalle scuotendolo. «Quando siamo entrati nell'elevatore dopo aver passato la prima notte in quella stanza, cosa pensavate? Cosa avevate in mente? Che le ferite vi facevano male, forse?»
«Sì, mi facevano un male d'inferno».
«E voi ci pensavate?»
«Naturale. Non riuscivo a pensare ad altro, Mi facevano male, vi ho detto».
«Ho capito!» Halmar lo lasciò andare e si voltò verso il pannello. Affondò i denti nel labbro inferiore e si concentrò esclusivamente sul male che gli veniva dal labbro offeso. Strinse i denti più forte. Più forte ancora, fino a che il sangue sprizzò dalla ferita e il dolore occupò tutta la sua mente. Dolore! Dolore. Dolore...
Quando il pannello tornò ad aprirsi i tre compagni entrarono nella stanza dalla luminosità variopinta. Per un attimo nessuno poté parlare. Poi, mentre le scintille brillavano attorno a loro, Lorna guardò Halmar.
«Ha funzionato» mormorò. Non ho più sete!»
«Sì» rispose la guida cercando di non guardare le linee sinuose, di non fissare la scintillante gloria della fantastica stanza. «Ha funzionato».
«Ma in che modo?» fece Smith. Inghiottì, si raschiò la gola. Era sbalordito, quasi incredulo. E Halmar lo capiva. La cosa era davvero incredibile. Esulava dalla comprensione umana che la sete potesse scomparire solo rimanendo esposti a un gioco di luci. Eppure...
Era verissimo. Non sentiva più sete.
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